lunedì 20 maggio 2013

(St)orto urbano. Quando il paesaggio ti va di traverso

Orto a ridosso del "paese sceso a valle" di Sala Consilina
La sensazione di trovarmi di fronte ad uno (st)orto urbano è stata come una specie di rigurgito paesaggistico, quasi di fastidio rispetto alla dimensione felicemente paesologica nella quale ero immersa, circondata da giovani energie positivamente operative e da menti brillanti. L'ho provata davanti alla scena ritratta nella foto, a Sala Consilina, quando, dopo tre intense giornate trascorse con la "comunità provvisoria" di Vallo a conoscere, gli amici della cooperativa thokos ci hanno portato a conoscere l'esperienza di Mimmo Calicchio e di altri cilentani. Mimmo è un professore d'italiano, noto nel Vallo anche come "il professore del petrolio", per aver condotto, alla fine degli anni Novanta, una dura battaglia contro la Texaco, che voleva aprire dei pozzi petroliferi in quest'area. Il prof. Calicchio ha pubblicato anche diversi libri con la casa editrice Palladio, tutti legati ai suoi luoghi, ma io ho avuto modo di conoscerlo e di apprezzarlo soprattutto come convintissimo ortolano, impegnato a promuovere la difesa della biodiversità attraverso il rilancio degli orti in area salese e nel Vallo di Diano. 
Mimmo ci spiega che in questa zona, caratterizzata da una abbondanza di acqua sorgiva, gli orti hanno sempre rappresentato una importante ricchezza in termini non solo economici, ma anche ambientali. «Il bisogno di zuccheri durante l'intero arco dell'anno, ad esempio,  faceva sì che ci si ingegnasse nel produrre le più diverse specie di frutta. Qui si mangia la mela fresca anche a S. Giovanni, perché si coltivano tutte le varietà, con tanti semi diversi». Fino agli anni Settanta del secolo scorso gli orti in pianura avevano un costo molto elevato, e le famiglie meno abbienti potevano permettersi appezzamenti solo in area collinare e montana. La zona di coltivazione degli orti era così anche un indicatore di stratificazione sociale, oltre che territoriale.  Negli anni '70 questo processo è stato interrotto e gli orti si sono andati riducendo. Bisogna comprendere però, che gli ortolani erano "costruttori" di biodiversità e che, con il loro diradarsi, si è andata impoverendo anche la ricchezza colturale. Ora, per tornare a recuperare questa prosperità, «non serve inventare nulla - continua Mimmo - sarebbe sufficiente costruire nel costruito, continuare a coltivare tutte le varietà, facendo attenzione ad usare i semi antichi, non soggetti a manipolazione come quelli attuali. La nostra storia è una storia fatta di semi, è un'ecostoria. Ancora oggi il paesaggio esiste, esistono i terreni, quegli stessi terreni che in passato  furono conservati dagli ortolani, gente di speranza e di attesa. Programmatori del tempo e dello spazio a seconda dell'alternarsi delle stagioni. Occorre mantenere queste terre con le colture, altrimenti potrebbero trasformarsi in luogo per l'insediamento della nuova malavita, con la costruzione di impianti a biomasse, discariche, aereoporti». 
All'appello del prof. Calicchio hanno risposto le Formiche operaie, un gruppo di giovani che, costituitosi in associazione ambientalista di volontariato, ha affittato un casolare in campagna per ricominciare a coltivare i terreni del Vallo. Attraverso una brillante idea, che si è tradotta nello slogan "adotta l'orto delle formiche", i ragazzi sono riusciti a finanziarsi lo start up di una piccola cooperativa agricola. Accanto a loro abbiamo conosciuto anche l'esperienza significativa di "Terra di resilienza", una cooperativa di giovani cilentani (tra cui un sociologo), che ha deciso di occuparsi di agricoltura, "investendo nella propria terra", come ci raccontano. E sentendo le loro storie, entusiasmandomi davanti al loro entusiasmo, comincio anch'io ad interrogarmi su quello che potrebbe succedere se, come dice Piero Bevilacqua, i giovani iniziassero davvero a «prendere la strada della campagna». E immagino che in questo modo si potrebbe veramente (ri)cominciare a difendere il terreno dall'erosione,  ad alimentare la biodiversità agricola, a tutelare il verde e l'ambiente, ad organizzare nuove forme di fruizione del tempo libero, a riattivare forme cooperative di lavoro, a recuperare una local knowledge in via di totale oblio, insomma ad instaurare stili di vita che possano far adeguata concorrenza a quelli metropolitani... wow... Tutto questo mi appare come una prospettiva rosea, oltre che verde, per le nostre aree interne, sempre più afflitte da uno stato generale di "ipoglicemia collettiva". Ma intanto nell'etere aleggia  l'incubo della UE, che sembrerebbe avere messo fuorilegge i piccoli ortaggi e i "semi non regolamentari"...

I Casalini di Sala Consilina

Così a poco a poco mi desto, torno a riguardarmi intorno. Mi riapproprio dello sguardo di oggi e vedo che, anche in questa parte di Campania,  tanti danni sono stati già fatti, tante risorse non rinnovabili già consumate, senza possibilità di recupero. Con una spinta significativa dopo il terremoto irpino, qui alcuni paesi (come per esempio Sala Consilina)  sono scesi a valle, trasformando (bruttamente e brutalmente) il paesaggio. Purtroppo senza via di ritorno... Penso all'Aquila e capisco che, ahimè, non è vero che la storia è magistra vitae... I vecchi borghi campani (e anche quelli aquilani) sono stati abbandonati, lasciati alle loro macerie, mentre colate di cemento  ricoprivano il suolo più a valle, dando espressione alla "scelta palazzinara". La vista su tutto questo stride fortemente con la nostra passeggiata ai Casalini (il paese a monte), con la vibrante voce di Caterina  Pontrandolfo (che ci ha accompagnato), con gli stimoli paesologici di Franco Arminio, con  l'entusiasmo agricolo del prof. Mimmo, con la voglia di ricominciare e di restare di molti giovani. E allora il paesaggio mi va un po' di traverso... burp! 

   

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